Esperienza e determinazione, le parole chiave di Federica Tortora

Ampia conoscenza, forte esperienza e determinazione, questo è ciò che è emerso dall’incontro con la dott.ssa Federica Tortora, Specialista Innovazione Campania, Calabria e Sicilia Intesa Sanpaolo. L’impegno che ha dedicato alla continua formazione è sinonimo della passione per il lavoro che svolge e ci insegna che non bisogna mai accontentarsi di ciò che si sa, ma tendere sempre al miglioramento.

Preparata, dinamica, open minded: la dott.ssa Tortora ha messo a disposizione la sua ampia conoscenza per permettere agli Innovators di SEIUNISA di affacciarsi al mondo delle startup. Forte sostenitrice dell’eterogeneità del team, non ha mancato di sottolineare l’importanza di luoghi di incontro che, al di là delle nozioni e dei concetti, aiuta nel conoscere persone e a scambiare idee e punti di vista nuovi.

A tu per tu con Federica Tortora

Cosa intende per innovazione culturale?

Vuol dire creare dei momenti di condivisione con le aziende per cercare di parlare dell’importanza dell’innovazione in aziende, tra i vari progetti ricordo il “Laboratorio ESG”, che è un punto di incontro, fisico e virtuale, per accompagnare le imprese italiane nella transizione sostenibile; quindi, il laboratorio ha lo scopo di promuovere la discussione e stimolare la consapevolezza sulle tematiche ESG tra le aziende e le filiere.

Inoltre, vi invito a partecipare ad alcuni appuntamenti in cui si parlerà di innovazione nel mondo bioplastica insieme al Circular Economy Lab che è un’iniziativa di innovazione che nasce dalla partnership tra Cariplo Factory e Intesa Sanpaolo Innovation Center, per contribuire all’evoluzione del sistema economico italiano e diffondere nuovi modelli di creazione del valore nell’interesse collettivo, accelerando la transizione verso modelli di economia circolare.

Un altro appuntamento importante si terrà a giugno, riguardante anche il trend di innovazione nel mondo del tessile sostenibile e tra le testimonianze ci sarà una startup innovativa fondata da una donna, che ha creato un nuovo materiale tessile chiamato Ohoskin rivestito a base di arancia siciliana e cactus.

Nello specifico, è un materiale al 70% non fossile, quindi realizzato con materiali organici e riciclati, che non contribuiscono all’impronta di carbonio.

Quali sono i parametri per valutare se finanziare o meno una startup?

I parametri utilizzati per un’azienda non valgono per una startup. In quest’ultimo caso valgono alcuni assets immateriali che i venture capitalists esaminano quando effettuano la valutazione di una startup. Noi abbiamo preso quei parametri, li abbiamo rimescolati all’interno di un modello proprietario basato su un algoritmo che pesa in maniera diversa le varie aree di valutazione. Per le startup ci sono sei aree di valutazione e si esprimono attraverso una due diligence tecnologica (due diligence assessment to scorecard), un modello per valutare il potenziale tecnologico. Queste sono le sei aree da considerare:

  • team;
  • analisi del mercato;
  • analisi della concorrenza;
  • analisi della value proposition;
  • investor relations;
  • analisi dei fabbisogni finanziari.

A parte l’ultima che riguarda più gli aspetti economici-finanziari, le prime cinque si riferiscono a degli assets immateriali: capacità e complementarità del team, capacità di esecuzione dimostrata in passato dal team, presenza di advisor, capacità di analizzare il mercato di riferimento (TAM, SAM, SOM), analisi della concorrenza diretta e indiretta…

Molte startup cadono su queste domande: “a chi vendi?”, “a quanto lo vendi?”, “come lo vendi?”; se oggi finanziassi le startup che non mi sanno rispondere a queste domande, sarei in parte responsabile del loro fallimento. A livello deontologico io devo assolutamente finanziare una persona che SA quello che sta facendo, infatti boccio 8 business plan su 10, non per cattiveria ma per ETICA. Al di là del fatto che non rientrerei del finanziamento, non è comunque etico finanziare startup che non abbiano ben chiare le modalità con cui entrare sul mercato né come rimanerci. Ovviamente le vicende che possono colpire una startup (o un’azienda) sono tra le più variegate e non è detto che l’iniziativa non possa comunque fallire. Se boccio una start-up, do un feedback in modo tale che possano essere ricoperti quei gap.

Ovviamente assumono rilevanza anche i bilanci prospettici. Bisogna saper argomentare i valori che vengono inseriti (es. revenue stream, costi del personale, costi di acquisizione dei clienti…).

Questo approccio che percentuale di fallimento ha? Le startup scartate si sono poi rivelate in realtà vincenti?

Io ho una percentuale di scarto molto elevata. Su 10, ne porto avanti 2. La percentuale di fallimento delle start-up che fino ad ora ho finanziato è dell’8%, molto basso nel mio settore. Ovviamente potrei anche sbagliarmi su una startup che ho scartato, perché forse non ho capito bene il potenziale o non sono riusciti a comunicarmelo. Le valutazioni poiché sono fatte da un essere umano, ancorché basate su un algoritmo, non sono infallibili. All’opposto, potrei aver valutato bene una start-up che poi in realtà fallisce; magari il progetto è anche valido, ma può fallire per dinamiche interne (es. mancanza di coesione tra i soci).

Qual è la percentuale di startup al femminile?

Purtroppo, oggi le start-up al femminile sono poche. Richiamo alla vostra attenzione un importante progetto di cui Intesa San Paolo fa parte chiamato “Inspiring Girls” che sta portando tra i banchi delle scuole medie professioniste, scienziate, sportive e manager che possano spronare ragazze e ragazzi a non porsi limiti nella definizione del proprio percorso e a seguire le proprie ambizioni, qualunque esse siano.

Quali sono le varie fasi che bisogna seguire per passare da un’idea ad un’azienda?

Prima di tutto bisogna chiedersi se l’idea ha un senso, se si può monetizzare e se può creare dei ricavi che ovviamente consentano di mantenere in piedi un’azienda. Io dico sempre che le startup sono aziende, non qualcosa di irrealistico; bisogna inseguire l’idea che la startup possa e debba diventare un’azienda sostenibile economicamente, che sia profittevole.

Quindi, a tutti quelli che decidono di intraprendere un percorso di start up, dico che si andrà nella direzione di avere un’azienda vera e propria, il che vuol dire pagare i dipendenti, pagare le tasse, pagare l’F24. Nel momento in cui si decide di fare l’imprenditore o lo startupper bisogna avere la consapevolezza dei rischi, cioè tenere in considerazione anche la parte legale oltre al prodotto.

Il primo suggerimento che potrei darvi è di rivolgersi ad un incubatore, il quale non prevede costi di incubazione. L’incubazione ha una durata fra i 2 e i 6 mesi. In questa fase si fa un vero e proprio percorso di affiancamento, dalla parte basica in poi. In altre parole, si approfondiscono i seguenti aspetti:

  • Che cosa vuol dire costituire giuridicamente una startup, se è possibile costituirla senza notaio.
  • A che condizioni è possibile costituire una startup.
  • Quali sono i vantaggi fiscali di costituire una startup innovativa.
  • Cosa vuol dire giuridicamente costituire una startup innovativa.

Una considerazione che merita di essere evidenziata è che la startup innovativa non può fallire.

Ma l’incubatore ha un costo?

Un percorso di incubazione è gratis, ma alcuni servizi si pagano. Per esempio, se volessi usufruire di una postazione di coworking ci potrebbero essere dei costi. Poi, di solito, quando la startup cresce c’è un affiancamento in termini di altri servizi come l’accompagnamento alla Banca o al Fondo di Venture CAPITAL, eccetera eccetera.

Suggerisco gli incubatori certificati MISE, cioè l’incubatore che ha fatto un determinato percorso di certificazione convalidato dal ministero. In Campania esistono sette incubatori certificati MISE, almeno uno per ogni provincia.

Qual è la differenza tra incubatore e acceleratore?

Generalmente gli incubatori hanno l’obiettivo di supportare un progetto imprenditoriale nei primissimi mesi di vita. L’acceleratore al contrario è destinato alle fasi successive: prende in considerazione idee un po’ più mature, sebbene ancora in fase di pre-fatturato, e le accelera. Tradizionalmente un progetto nasce in un incubatore e successivamente è accelerato da un acceleratore. Sia gli incubatori che gli acceleratori sono gratuiti in quanto finanziati da fondi pubblici o enti privati. Tuttavia, partecipare a un acceleratore richiede un impegno di tempo.

Oggi la maggioranza degli acceleratori ha dei programmi abbastanza compatti, di durata tra i quattro e i sei mesi. Gli orari sono flessibili e permettono di seguire in modalità ibrida, cioè digitale o in presenza.

Un’altra differenza tra incubazione e accelerazione sta anche nel fatto che negli acceleratori è possibile ottenere finanziamenti in cambio di equity.

Come si accede ad un acceleratore?

Per accedere a un acceleratore bisogna superare un processo di selezione: non tutte le startup che applicano per un acceleratore vi possono accedere. Per esempio, nel 2022 si sono candidate 126 startup per accedere all’acceleratore “Terra Next”, ma solo 8 sono state selezionate. Siccome CDP aveva stanziato 750.000€ per un massimo di 10 startup, ciascuna ha ricevuto un finanziamento di 93.000 €. Ovviamente se non si supera la selezione è possibile ripresentarsi anche gli anni successivi.

Dopo il periodo di incubazione e accelerazione, qual è il passaggio successivo che si deve fare per realizzare un’azienda a partire da un’idea?

Dopo l’accelerazione ci sono più strade che si possono seguire la prima può essere la banca oppure si può accedere ad un venture capital o in alternativa ad un funding.

 

A cura di:

Tersa Abbagnale – Maria José Agostini – Francesco Colangelo – Antonio Langella – Francesca Preite – Davide Risi